Amadou Jawo giovane di 22 anni proveniente dal Gambia si è impiccato dopo avere ricevuto la notizia ufficiale da lungo attesa che non gli era stato rinnovato il permesso di soggiorno. I suoi stessi compagni parlano di uno stato di depressione, con un tono che sembra quasi sminuire la gravità del nesso fra mancata accoglienza e lo stato morale delle persone senza statuto giuridico che le difenda con il requisito fondamentale della dignità nelle relazioni.

E’ venuto il  momento di lavorare a una revisione dei principi fondamentali che istituiscono diritto e regole in termini di relazioni di dignità e valori, sulla base di una modalità dialogica che deve essere rivendicata come unica possibilità di deideologizzare il lavoro dei diritti e di toglierlo alla superficie dello scontro, mentre d’altro canto la rivendicazione di questo diritto a deve diventare patrimonio comune di strati e contesti culturali i più svariati nelle piazze delle città.

Perché è la “città” /cittadinanza che deve sentirsi infinitamente ferita dalle infinite sofferenze di Amadou e di tutti gli altri che dovrebbero essere nominati in liste interminabili. Il diritto alla cittadinanza non è soltanto diritto di cittadinanza, concesso dal potere secondo leggi positive immutabilmente applicate, è diritto all’essere giuridico di ciascuno e di tutti che non può essere tolto a nessuno uomo, perché gli inerisce in quanto uomo. L’apolide è un non senso umano perché è un non senso giuridico, è l’assenza di dignità e di valore nella relazione.

E’ venuto il momento di analizzare la storia delle disobbedienze civili e di riconoscerne tutta la potenzialità dialogica. E’ questa potenzialità che i grandi movimenti devono diventare capaci di imporre contro il potere/prepotere della sovranità “moderna”.

E’ l’accoglienza infine che è in grado di riconoscere la sostanza delle relazioni e ancora una volta di discutere di dignità e valori.

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